Una multinazionale del settore dell’importazione e della vendita di frutta ha operato una redistribuzione dei clienti fra i quadri della società e uno di questi ha lamentato la sua sostanziale dequalificazione professionale e, in particolare, lo svuotamento della propria attività, chiedendo al giudice del lavoro di ordinare al datore la reintegrazione nelle mansioni secondo gli standard quantitativi precedenti. 

La società, assistita dallo studio legale DLCI, con gli avv.ti prof. Lorenzo Maria Dentici e Luigi Maini Lo Casto, ha resistito in giudizio sostenendo l’infondatezza della pretesa, la legittimità della scelta aziendale e, in particolare, l’impossibilità per il lavoratore di ottenere un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. per carenza del periculum in mora. Il Tribunale di Bergamo ha rigettato il ricorso accogliendo le tesi del datore di lavoro in ordine alla riparabilità per equivalente delle pretese azionate dal lavoratore. 

In particolare per il giudice “è (…)indispensabile che il ricorso indichi dettagliate ragioni di urgenza, ulteriori rispetto a quelle rappresentate dalla natura della causa, che giustifichino l’utilizzazione della misura cautelare in luogo dello speciale rito del lavoro; in sostanza, chi ricorre all’art. 700 c.p.c. ha l’onere di allegare la natura del pregiudizio temuto e le ragioni della sua gravità ed irreparabilità, onde consentire al giudicante di verificare se, nel caso specifico, si prospetti una situazione limite, per condotte non sanzionabili con il solo equivalente pecuniario, cui occorre ovviare con un immediato intervento giudiziario”. Nel caso di specie il lavoratore “nulla deduce o prova, ad esempio, in ordine all’irreparabilità del pregiudizio patito: l’eventuale pregiudizio all’immagine o al prestigio professionale risultante da un giudizio di merito sarebbe astrattamente ristorabile e non sono state indicate ulteriori e specifiche ragioni di urgenza differenti rispetto alla semplice ed astratta necessità di ricoprire il ruolo ricoperto nel periodo antecedente agli asseriti atti vessatori perpetrati nei suoi confronti”.

Infine “addirittura la perdita del lavoro non comporta automaticamente la sussistenza di un pericolo grave e irreparabile ai danni del lavoratore. Il pericolo sussiste esclusivamente qualora il lavoratore si trovi in concreto – quindi sulla scorta di una valutazione caso per caso – in una condizione per cui l’assenza di retribuzione possa compromettere un bene della vita tutelabile.  Ciò significa, quindi, che anche il lavoratore inoccupato, per poter ottenere la tutela d’urgenza richiesta, deve quanto meno allegare e dimostrare la propria condizione e che, ad esempio, la mancanza della retribuzione comporti la compromissione di un bene della vita”. 

Per maggiori informazioni puoi contattare lo studio legale DLCI al n. 091.6811454 o puoi scrivere all’e-mail segreteria@dlcilaw.it.
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