L’avv. prof. Lorenzo Maria Dentici e l’avv. Luigi Maini Lo Casto, partner dello studio legale DLCI, hanno assistito con successo innanzi al Tribunale di Messina una multinazionale del settore della ristorazione collettiva in una causa di licenziamento.

La lavoratrice aveva sostenuto l’illegittimità del recesso intimato per superamento del periodo di comporto, sul rilievo che alcune assenze nelle quali era stata sottoposta a terapie salvavita non avrebbero dovuto essere computate, così come il periodo di positività al Covid durante il ricovero.

La società ha resistito in giudizio osservando che né la natura delle terapie cui si era sottoposta la lavoratrice, né la degenza presso le strutture ospedaliere, ove la stessa era stata ricoverata erano in grado di scalfire la legittimità del recesso datoriale, a ciò ostando quanto stabilito dalla disciplina pattizia collettiva. Ha osservato poi che non vi era motivo alcuno per ritenere che la lavoratrice, il cui rapporto era già sospeso per malattia ex art. 2110 c.c., potesse beneficiare del particolare regime previsto dal legislatore nel 2020, quale misura speciale a sostegno dei lavoratori connessa all’emergenza epidemiologica.

A sostegno della propria posizione parte ricorrente aveva richiamato l’art. 13 del Contratto Integrativo sul trattamento economico durante la malattia in cui dette terapie salvavita erano menzionate.

Tuttavia, secondo il giudice, “tale disposizione non consente di escludere le terapie salvavita e gli altri eventi morbosi indicati dal computo del periodo di comporto in quanto si tratta di una disposizione prevista in materia di malattia e che disciplina il relativo trattamento economico, non contenendo alcun riferimento al computo del periodo di comporto”, mentre il CCNL non prevede tali terapie e patologie come ipotesi di esclusione dal computo del periodo predetto.

Quanto alla positività al Covid positività, la stessa – osserva il giudice del lavoro – “è intervenuta mentre la ricorrente era già assente dal lavoro per malattia e si è conclusa prima del termine della prognosi indicata nella certificazione medica. Tale circostanza (…) esclude la possibilità di applicare l’art. 26, comma 1 del d.l. 18/2020 in quanto la ricorrente era assente dal lavoro per la pregressa malattia”.

Il ricorso è stato pertanto rigettato e la lavoratrice condannata alle spese di lite.

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