Gli avvocati prof. Lorenzo Maria Dentici, Luigi Maini Lo Casto e Sergio Capasso, partner dello studio legale DLCI, insieme all’avv. Alberto Romano, associate, hanno assistito alcuni volontari di una onlus per ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato con quest’ultima.

Previo accertamento dell’effettiva natura subordinata del rapporto, il Tribunale di Palermo ha condannato l’ente a corrispondere ai lavoratori le retribuzioni spettanti in forza del contratto collettivo di categoria e al versamento dei contributi previdenziali.

Normalmente le associazioni non aventi scopo di lucro con finalità di solidarietà sociale si avvalgono dei propri soci volontari. Trattasi, di regola, di prestazioni in relazione alle quali non può parlarsi dell’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, derivando le medesime dalle obbligazioni dall’atto di adesione all’associazione per il perseguimento delle finalità solidaristiche, sempre che non venga fornita la prova che la prestazione resa in concreto quale volontario abbia esorbitato da tali caratteristiche.

Il lavoro prestato dai soci nelle associazioni senza scopo di lucro è generalmente – e presuntivamente – a titolo gratuito, concetto ribadito di norma nei singoli statuti. Anche la legge n. 266/1991 specificava espressamente, all’art. 2, che l’attività di volontariato deve essere prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, anche indiretto, e solo per fini di solidarietà. E il D. Lgs. n. 117/2017, intervenuto successivamente, ha di fatto ribadito un regime di presunzione di gratuità dell’attività prestata dal volontario. La giurisprudenza di legittimità, però, ha precisato che ”La prestazione di volontariato, per sua natura gratuita e spontanea, non è soggetta alla disciplina del volontariato, ma alla disciplina giuslavoristica del rapporto di lavoro, se, indipendentemente dal nomen iuris, il volontario sia assunto e retribuito con un compenso che superi il mero rimborso spese” (Cass. 6/05/2010, n. 10974, v. pure Cass. n. 9468 del 18/04/2013). Viene in gioco il già citato art. 2 della legge n. 266/1991, laddove prevede che “al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse“.

L’analisi delle emergenze probatorie ha dimostrato che la prestazione resa in concreto dai ricorrenti ha chiaramente esorbitato dal supposto “volontariato” e si è raggiunta la prova piuttosto degli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato e, in particolar modo, dei requisiti indefettibili della subordinazione e della onerosità.

Secondo il Tribunale i suddetti volontari hanno percepito regolari pagamenti mensili determinati in relazione al singolo turno espletato e non corrispondenti ad esborsi effettivi e documentati, in violazione dell’art. 2, 13/16 legge 266/1991 ed ex art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 117/2017. La circostanza che il “rimborso” dei volontari fosse assolutamente slegato dalla presentazione di giustificativi di spesa e in rapporto alle ore di lavoro espletate, sarebbe – a dire del Tribunale – già sufficiente per ricondurre i rapporti in questione nei parametri di cui all’art. 2094 c.c., assumendo tale pagamento carattere sinallagmatico della prestazione di lavoro resa. Tuttavia è emerso che i lavoratori hanno rispettato specifici turni di lavoro. La sussistenza di tutti i tradizionali indici della subordinazione ha, quindi, condotto all’accertamento della ricorrenza di un rapporto di lavoro subordinato fra i ricorrenti e la onlus e alla conseguente condanna di questa a corrispondere ad ognuno di essi le differenze retributive maturate, provvedendo altresì alla relativa regolarizzazione contributiva.

Per maggiori informazioni puoi contattare lo studio legale DLCIal n. 091.6811454 o puoi scrivere all’e-mail segreteria@dlcilaw.it.

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