L’avv. prof. Lorenzo Maria Dentici e l’avv. Luigi Maini Lo Casto, partner dello studio legale DLCI, insieme all’associate avv. Giorgio Petta, hanno assistito con successo innanzi al Tribunale di Palermo un medico di una clinica privata, ottenendo il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro e il riconoscimento dell’illegittimità del licenziamento privo di qualunque motivazione.

La vicenda scaturisce dall’interruzione del rapporto di lavoro per volontà della casa di cura attraverso una semplice comunicazione, che non conteneva alcun riferimento alle ragioni del recesso.

Il Tribunale di Palermo ha pienamente accolto il ricorso avanzato dal medico specialista riqualificando rapporto di natura libero-professionale come subordinato e accertando l’illegittimità del licenziamento. La decisione si segnala per alcune interessanti argomentazioni relative alla nullità del licenziamento radicalmente privo di motivazione.

Il Giudice del lavoro ha pertanto osservato che: “nell’ipotesi di specie, il licenziamento intimato dal rapporto di fatto subordinato con una nota di recesso ad nutum da un rapporto di lavoro erroneamente qualificato come autonomo, deve ritenersi radicalmente nullo. (…) L’art. 2, L. n. 604/1966 ha imposto al recesso il requisito essenziale della forma scritta e, nella sua ultima formulazione ex L. n. 92/2012, impone altresì la contestuale esposizione dei motivi che, nella prospettiva del datore, fondano (il licenziamento); (…) Qualora non si verta in una delle eccezionali situazioni che legittimano il licenziamento ad nutum, il potere di recesso del datore di lavoro sussiste esclusivamente nei confini tracciati dal combinato disposto degli artt. 2118, comma 1, c.c. e dall’art. 1 L. n. 604/1966 (…). In altre parole, per poter dare applicazione all’art. 3 della L. n. 604/1966 è necessario che il licenziamento identifichi la propria causale nella giusta causa o nel giustificato motivo”.

Sulla scorta di quanto sopra il Tribunale di Palermo ha pertanto osservato: “Se – al contrario – il licenziamento è privo di causale o munito di una causale estranea all’ambito dell’art. 1 L. n. 604/1966 (quale potrebbe essere, ad esempio, il superamento del comporto oppure il recesso ad nutum in ipotesi non prevista e vietata), l’art. 3 L. n. 604/1966 non può svolgere alcun ruolo, poiché la sua funzione è quella di definire che cosa sia un giustificato motivo e non ha alcun senso avviare una tale indagine laddove il giustificato motivo non sia affatto la causale su cui il licenziamento stesso pretende di fondarsi. (…) Deve concludersi, quindi, che il vaglio del giustificato motivo (o della giusta causa) possa essere avviato soltanto nei casi in cui il licenziamento li adduca in qualche modo ab origine a propria causale. Nell’ipotesi in cui, come nella specie, sia invece stato intimato un recesso ad nutum da un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sull’erroneo presupposto che si trattasse di un recesso da un rapporto di lavoro autonomo, di natura libero-professionale, senza quindi indicare al di fuori di questa alcuna causale neppure generica del recesso, che possa essere inserita nelle categorie della giusta causa o del giustificato motivo, quindi, il datore di lavoro ha esercitato un potere in assenza dei presupposti previsti dalla legge, con la conseguenza che il licenziamento risulta intimato in assenza del relativo potere datoriale”.

La sentenza contiene altresì un richiamo alla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 22/2024 e precisando che “nell’ipotesi oggetto di causa, verificata l’inesistenza del presupposto (rapporto di lavoro libero-professionale) che giustificava il recesso ad nutum intimato dal datore di lavoro, l’atto di recesso medesimo, quale intimazione di licenziamento, risulta emesso dal datore di lavoro in totale carenza di potere ed in violazione della norma imperativa dell’art. 1, L. n. 604/1966, a sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c., con la conseguenza che esso va dichiarato nullo”. Si verte proprio in uno di quei casi di nullità non “espressamente” previsti dalla legge cui si riferisce la recente decisione della Consulta.

Il licenziamento è stato, quindi, dichiarato nullo per radicale mancanza di motivazione e il datore di lavoro è stato condannato alla reintegrazione del lavoratore, con ulteriore condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria pari alle retribuzioni che avrebbe dovuto corrispondergli dalla data di efficacia del licenziamento sino all’effettiva reintegrazione, oltre alla regolarizzazione della posizione contributiva del lavoratore alla luce dell’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro.

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